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  • Writer's pictureSergio Focardi

Il capitalismo ha sempre meno bisogno di consumatori

In un post precedente ho discusso come il concetto corrente di inflazione non sia applicabile ad un’economia complessa in rapida evoluzione. In termini semplici, non si puo’ definire l’inflazione con un singolo numero applicabile ad un sistema complesso. In questo post vorrei discutere di occupazione, in particolare piena occupazione. Analogamente i concetti di piena occupazione e di disoccupazione non possono essere definiti in termini di un singolo numero che si applica ad una realtà economica altamente segmentata.


Il problema dell’occupazione è essenzialmente legato alla gestione del profitto. La teoria classica divide la popolazione in capitalisti e salariati. I capitalisti posseggono le aziende e lucrano un profitto. I salariati lavorano e guadagnano un salario. Siccome ognuno puo’ possedere azioni le due categorie di salariati e capitalisti possono in parte sovrapporsi. In pratica possiamo considerarle separate.


Se escludiamo i rapporti con l’estero, in aggregato l’unico costo è il salario. Il profitto è il totale dei ricavi aziendali meno il costo dei salari aggregati. Il profitto a sua volta si divide in consumo dei capitalisti e investimenti. Queste sono le fondamentali equazioni introdotte da Kalecki. Poichè non è possibile aggregare fisicamente output, consumo e investimento data l’eterogeneità di prodotti e servizi, tutte queste relazioni vanno intese come relazioni monetarie.


Nella teoria classica i lavoratori sono impiegati solo se il valore di quello che producono eccede il costo del loro impiego. Su questa base si sostiene che i salari debbano seguire la dinamica del mercato altrimenti si produce disoccupazione. Nella teoria classica, i lavoratori formano un sistema omogeneo. L’occupazione cresce in un’economia in espansione, si riduce in periodi di recessione.


Questa estrema semplificazione è molto lontana dalla realtà economica attuale. In particolare ci sono due considerazioni fondamentali. La prima è il fatto che le economie si segmentano in sub-economie con dinamiche diverse. I capitalisti hanno interesse solo ad aumentare la produzione dei prodotti e servizi che formano il loro consumo ma non hanno interesse ad aumentare il consumo dei salariati. A causa dell’automazione, del simbolismo sempre più spinto associato a prodotti e servizi, e della delocalizzazione della produzione la frazione della popolazione che è impegnata nel produrre il consumo dei capitalisti è in continua diminuzione.


Questo non era vero nel passato quando produrre era difficile, il simbolismo era meno spinto e si creavano continuamente nuove aziende e nuovi capitalisti. La filosofia economica e sociale del capitalismo era basata sulla diffusione del consumo di una crescente quantità e varietà di beni e servizi. Il capitalismo si basava sull’iniziativa privata di un crescente numero di imprenditori che creavano aziende. In questa situazione tutta la popolazione era impegnata in uno sforzo produttivo. Oggi la produzione richiede sempre meno personale ed il simbolismo, creato da un’intera industria di PR e pubblicità specialmente nel settore del lusso, richiede una frazione limitata dei lavoratori. Ma sopratutto si è creato il fenomeno del “winner takes all” che ha concentrato la produzione in un numero ristretto di aziende molto grandi.

Il secondo punto riguarda la creazione del profitto monetario. Le considerazioni del paragrafo precedente si riferiscono alla creazione di profitto reale, profitto che è consumato o posseduto sotto forma di beni. Se i salariati consumano solo il loro salario e la banca centrale non produce denaro il profitto reale è la sola forma di profitto possibile. Nella situazione attuale, tuttavia, i salariati sono debitori netti. Il loro debito aumenta il loro consumo e produce profitto monetario per i capitalisti. Le operazioni di QE hanno anche fortemente contribuito a creare profitto monetario.

Le considerazioni precedenti hanno prodotto una fondamentale segmentazione dell’economia almeno in tre segmenti. Il primo segmento è formato dalla frazione dei salariati che non contribuisce al profitto mentre il secondo segmento è formato dai lavoratori salariati che contribuiscono a generare profitto perchè hanno gli skill necessari per produrre il consumo dei capitalisti e si indebitano regolarmente mentre il terzo segmento è costituito dai capitalisti. All’interno di questi grandi segmenti ci sono sub-segmenti per cui un’economia moderna risulta fragmentata in subeconomie con dinamiche diverse. I processi di profitto monetario hanno esasperato questa situazione.


Il problema in termini di occupazione è che crescenti frazioni della popolazione sono esclusi dalla vita economica e sono marginalizzati. In generale è molto difficile muovere da un segmento ad un altro. Esistono barriere di competenze, di livelli salariali, di network di conoscenze e supporto. Esistono molte iniziative imprenditoriali, le start-up, ma queste aziende in genere hanno vita breve. In un ristretto numero di casi hanno un grande successo e sopravvivono ma in genere o falliscono o vengono assorbite da realtà più grandi.


Il concetto classico di una disoccupazione quantitativa e omogenea è completamante inadatto a descrivere la situazione dell’occupazione in una realtà economica altamente segmentata. Dal punto di vista del profitto aziendale questa realtà crea enormi concentrazioni di profitto con occupazione decrescente. Dal punto di vista sociale crea grandi masse di escluse e quelli che sono inclusi si trovano a lavorare in condizioni di grande incertezza sovente obbligati ad accettare impieghi che si traducono in gravi difficoltà familiari

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