Sergio Focardi
Quali danni le economie moderne possono soffrire a causa di teorie economiche inadeguate?
Teorie inadeguate possono produrre gravi danni. Ad esempio, l’aereo De Havilland Comet fu il primo aereo a reazione commerciale. Il Comet fece il suo primo volo di linea nel 1952 fra Londra e Johannesburg via Roma e nel 1958 fu il primo aereo a reazione commerciale a effettuare un volo transatlantico. Ma il Comet ebbe subito una serie di incidenti gravi. Il motivo di questi incidenti era la fatica del metallo un fenomeno a quel tempo non ben conosciuto. Il Comet fu ritirato dal servizio e riprogettato. Gli incidenti del Comet sono un esempio di incidenti accaduti a causa di erronee concoscenze teoriche.
La teoria economica mainstream soffre di fondamentali inadeguatezze. Decisioni prese sulla base della teoria mainstream possono percio’ essere subottimali ed eventualmente dannose. Ma innanzitutto ricordiamo le principali inadeguatezze della teoria mainstream. Il problema fondamentale della teoria economica è la sua incapacità di riconoscere che le economie moderne sono sistemi complessi adattativi. La teoria economica mainstream è stata sviluppata in momenti in cui le economie evolvevano lentamente e non avevano la complessità che caratterizza le economie moderne. In particolare, la teoria economica mainstream presenta i seguenti punti deboli:
La teoria mainstream utilizza un concetto di inflazione che non si adatta alle economie moderne evolutive. Infatti l’inflazione è concepita come incremento dei prezzi. Ma data l’eterogeneità e la rapida evoluzione di prodotti e servizi, possiamo stimare approssimativamente il cambiamento dei prezzi su periodi brevi dell’ordine di uno o due anni.
Su periodi più lunghi l’inflazione è un termine teorico che non rappresenta l’incremento dei prezziLa crescita economica reale non puo’ essere stimata per le stesse ragioni.
Non si puo’ calcolare la calcolare la quantità di output perchè non si possono aggregare prodotti e servizi eterogenei che cambiano in continuazione.
Si puo’ solo calcolare il valore dell’output, il GDP nominale. Ma per confrontare il GDP in momenti diversi sarebbe necessario un concetto diverso di inflazione. Oggi si calcola il GDP reale scontando il GDP nominale con l’indice del cambiamento prezzi. Ma in questo modo l’innovazione, i miglioramenti qualitativi dei prodotti e servizi sono trascurati.
In conseguenza il concetto di crescita economica trascura completamente la crescita qualitativa. La crescita del GDP reale ignora completamente la crescita qualitativa fondamentale nelle economie moderne.
Il ruolo del denaro non è apprezzato nelle teorie economiche mainstream.
Le economie moderne sono sistemi duali, formati da sotto economie che crescono a velocità diverse
Inoltre, per motivi finanziari, il valore del capitale cresce molto più velocemente del valore dell’economia creando situazioni di squilibrio
Discutiamo ora come queste inadeguatezze possano condurre a danni economici. Esamineremo tre casi in particolare: la crescita economica, l’inflazione, e la produttività.
La crescita economica
Il concetto di crescita economica oggi adottato nel processo decisionale politico-economico è vago ed ambiguo. Infatti, è impossibile definire un concetto di crescita quantitativa dell’output a causa dell’eterogeneità e innovazione dei prodotti e servizi. Si usa allora la crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL) reale. Il PIL reale è il PIL nominale scontato per un fattore che rappresenta l’inflazione.
Ma l’interpretazione di questo numero non è chiara. Come discusso in post precedenti e in alcuni articoli, l’inflazione dovrebbe rappresentare l’aumento dei prezzi di beni e servizi che rimangono stabili e non cambiano. Ma nelle economie moderne avanzate pochi prodotti rimangono stabili. Quello che viene calcolato come inflazione su periodi medio lunghi è un termine teorico di difficile interpretazione perchè i cambiamenti di prezzo dovuti a fattori qualitativi sono in parte calcolati come inflazione.
Oggi la crescita qualitativa non è considerata vera crescita. Una nazione puo’ mostrare un PIL in crescita ma allo stesso tempo vedere scendere il suo ranking di complessità. Ad esempio, osserviamo l’evoluzione del ranking dei ECI calcolati da OEC (Observatory Of Complexity):
https://oec.world/en/rankings/eci/hs6/hs96.
Nel periodo 2000-2020 l’Italia ha perso ben 6 posizioni passando dalla tredicesima alla diciannovesima posizione, nonostante il suo PIL reale procapite sia rimasto quasi costante, sia pure con notevoli oscillazioni. Per contro la Slovenia passa dalla diciassettesima alla dodicesima posizione anche essa con un PIL reale procapite costante.
Il Complexity Economic Index – CEI – è una misura delle capacità di una nazione che contribuiscono alla sua competitività. Nel periodo 2000-2020 l’Italia ha perso competitività perchè non ha investito nella creazione di conoscenze e competenze. Per contro la Slovenia ha investito in ricerca e la sua competitività, misurata dal suo indice di complessità economica, è migliorata.
I governi prendono decisioni riguardanti l’economia usando una misura di crescita che non tiene conto della crescita qualitativa. Questo puo’ portare a decisioni erronee di politica industriale. Per motivi opportunistici, i governi possono trascurare l’aspetto conoscenze e complessità a favore di decisioni che porteranno forse a crescita nel breve periodo ma minano la competitività futura della nazione. Trascurare la crescita qualitativa è sempre un errore ma è un errore particolarmente grave nella situazione presente. Infatti, la transizione verde richiederà che la crescita economica sia svincolata dall’uso di risorse naturali e quindi richiederà una crescente complessità.
La produttività
L’incapacità di considerare la crescita qualitativa quale vera crescita ha altre conseguenze economiche. Ad esempio, si è osservato che la crescita della produttività del lavoro è diminuita a partire dagli anni 1990 nonostante l’apporto dell’informatica e dell’automazione. Questo sembra strano in un mondo caratterizzato da un uso crescente di automazione. Ma è impossibile valutare la produttività direttamente come quantità di output. Come discusso in post e articoli, la quantità fisica di output non è una quantità osservabile a causa di eterogeneità ed innovazione dei prodotti e servizi.
Ci sono diverse definizioni di produttività che dipendono dal settore e dai fattori considerati. La misura di produttività più usata in rapporto ad una nazione è il rapporto fra il PIL reale ed il numero di ore lavorate. La prima osservazione da fare è che questa misura di produttività non è realisticamente applicabile ad economie intrinsecamente duali. Le economie moderne concentrano la produzione di beni e servizi ad alto valore aggiunto in fasce sempre più piccole della popolazione mentre fasce sempre più larghe sono impiegate in lavoro a basso valore aggiunto. La produttività come PIL reale diviso per il numero di ore lavorate non ha senso in presenza di una forte eterogeenità della forza lavoro.
La seconda osservazione riguarda la misura del PIL reale. Il valore funzionale delle economie moderne è sempre di più legato alla complessità dell’economia non alla quantità di oggetti prodotti. Ma il PIL reale non misura la complessità di un’economia. Pertanto, il rapporto (PIL reale)/(numero di ore lavorate) non è un buon indicatore dell’efficienza di un’economia. Alzare la produttività puo’ implicare investimenti in produzioni incompatibili con la transizione verde.
Decisioni per alzare la produttività possono in realtà produrre un peggioramento del know how di un paese e quindi della sua competitività a livello internazionale. Questo avviene perchè si prendono decisioni di politica industriale che tendono a far espandere l’economia senza far crescere la sua complessità e quindi il suo know how. Lo stesso avviene con politiche del lavoro che intendono far crescere l’economia incrementando il numero di ore lavorate anzichè la qualità del lavoro.
Naturalmente prendere decisioni a favore della complessità non è facile perchè richiede un cambiamento culturale che apprezzi la qualità. Sopratutto richiede una distribuzione più equa della ricchezza e dei profitti. La crescita qualitativa richiede una popolazione che sia in grado di apprezzare la qualità e di potersela permettere. Questo implica un’economia più egalitaria.
Inflazione
Se l’inflazione; misurata con i metodi correnti, comincia a salire e raggiunge livelli elevati dell’ordine di 6-8% immediatamente le banche centrali mettono in atto azioni per contenere l’inflazione. In genere queste azioni consistono nel rialzare i tassi di interesse per rallentare la crescita economica in modo da incrementare la disoccupazione e consentire all’economia di assorbire la crescita della domanda senza produrre inflazione.
Alzare i tassi di interesse per far rallentare l’economia, aumentare la disoccupazione ed eventualmente produrre una vera recessione non sembra una strategia socialmente valida per ridurre l’inflazione. E infatti nel mondo moderno non lo è. Innanzitutto come abbiamo discusso in post e articoli, data la misurazione dell’inflazione effettuta oggi, una veloce crescita qualitativa molto probabilmente viene interpretata come inflazione. Alla base abbiamo un problema teorico per cui un aumento della complessità economica viene interpretato come inflazione.
In conseguenza della crescita qualitativa dell’economia le famiglie fanno esperienza dell’inflazione. La risposta non dovrebbe essere contenere la domanda delle famiglie in modo da ridurre l’aumento dei prezzi ma una politica salariale che adegui i salari ad una economia qualitativamente più ricca e percio’ più costosa. Ma questo ci riporta al punto precedente, un’economia che cresce qualitativamente deve far crescere tutti e non aumentare le ineguaglianze.
Ma questo non è il solo problema. Parte dell’inflazione registrata dalle famiglie è il risultato di fenomeni speculativi. In assenza di una risposta organizzata da parte dei lavoratori, le aziende aumentano i prezzi per aumentare i profitti. Questa è l’interpretazione dell’inflazione che fu originariamente proposta da Michal Kalecki e che è ora ripresa da diversi autori quali Mario Seccareccia e due economisti della Federal Reserve, David Ratner e Jae Sim, i quali hanno sostenuto una visione Kaleckiana dell’inflazione in un recente working paper.
Empiricamente si trova che la curva di Phillips, una curva che esprime la relazione fra inflazione e disoccupazione, è adesso piatta. Questo significa che occorre un grande rialzo dei tassi di interesse per produrre un apprezzabile cambiamento dell’inflazione a spese di un grande incremento della disoccupazione.
Le nuove teorie economiche riconoscono che l’inflazione è un fenomeno sociale dovuto al conflitto fra lavoratori e aziende su prezzi e salari. Non si deve curare l’inflazione creando recessione ma producendo un’economia più ricca e più egalitaria.
Per concludere
I tre punti precedenti mettono in luce come errori teorici legati alla non- comprensione del carattere evolutivo e complesso delle economie moderne portino a conseguenze dannose per le economie. Queste conseguenze dannose non sono uniformemente distribuite. Le classi sociali più povere e con minore potere sociale sono quelle più colpite. Evitare queste conseguenze richiederebbe un ripensamento degli obiettivi economici e l’accettazione di una società molto più egalitaria di quella presente.
E’ improbabile che cambiamenti importanti verso una società nel contempo qualitativamente più sofisticata e più egalitaria avvengano per una spinta endogena verso una migliore giustizia sociale. Il cambiamento, se cambiamento ci sarà, è probabilmente legato alla transizione verde. Di fronte ai problemi ambientali che stanno diventando catastrofici, ci sono due possibili risposte: l’una è la decrescita, che in pratica significa l’impoverimento delle masse e un dominio crescente delle elite. L’altra è il cambiamento qualitativo, con la formazione di economie più sofisticate e più egalitarie.
E’ molto difficile ad oggi prevedere quale atteggiamento prevarrà. I segnali non sono buoni. Mentre si comincia a chiedere alle grandi masse di popolazione risparmi di tipo energetico e considerazione per gli sprechi, assistiamo a consumi di elite veramente molto poco consapevoli dell’ambiente: yacht colossali, auto capaci di superare i 400 km all’ora, e persino turismo spaziale. E sullo sfondo internazionale la guerra si è ripresentata anche in regioni che si voleva considerare “civilizzate” e quindi immuni dalla violenza della guerra.
Possiamo dire, sia pure con qualche esitazione, che la storia umana, su lunghi periodi, è una storia di progresso. Potremmo applicare queste considerazioni anche ai tempi presenti. Pur con alti e bassi il miglioramento delle capacità tecnologiche ed il miglioramento del livello culturale della popolazione dovrebbe portare ad un miglioramento sociale. Ma dobbiamo capire che eventuali errori adesso possono rivelarsi catastrofici. Stiamo cambiando il clima e stiamo influenzando i fenomeni biologici su larga scala. Dobbiamo sviluppare rapidamente la consapevolezza che non c’è spazio per errori.